Secondo l’antropologo Marc Augè, i nonluoghi sono tutti quegli spazi fisici che hanno la peculiarità di non essere né identitari, né relazionali, né storici.
“I nonluoghi sono gli spazi caratteristici della surmodernità, come gli aeroporti o i supermercati: spazi dove si passa e nei quali non esiste a priori alcun legame simbolico immediatamente decifrabile tra gli individui che li frequentano.”*
Osservando la nostra società attraverso questa prospettiva, salterebbero all’occhio due constatazioni: La prima è che siamo circondati da nonluoghi, in cui effettivamente ci troviamo a passare sempre più segmenti del nostro tempo.
La seconda è che, dall’altra parte, c’è un “luogo” molto frequentato, la rete, che è capace di essere identitario, relazionale e storico e che forse, nella vita di alcuni di noi, lo è molto più dei luoghi per eccellenza come la piazza, la chiesa o la scuola.
E se l’utilizzo sempre più sfrenato dei telefoni, della rete e dei social non fosse solo dovuto alle reazioni biochimiche che scatenano nel nostro cervello, ma anche al ruolo di luogo denso di significati che il mondo virtuale ha costruito per ognuno di noi? E le famose “bolle” (per cui gli algoritmi ti propongono contenuti in linea con i tuoi interessi) oltre ad essere dei meccanismi di auto-conferma fossero anche dei piccoli luoghi identitari, accessibili in ogni momento, in cui ci immergiamo circondati da spazi sempre più anonimi, spersonalizzanti e non identitari per rispondere agli stessi bisogni di appartenenza che non vengono più soddisfatti intorno a noi? Sale d’aspetto, stazioni, centri commerciali dove non si conosce e non si è conosciuti, dove non si tessono relazioni significative e costanti e dove spesso il primo istinto è quello di rifugiarsi nel nostro piccolo “luogo” portatile; per avere rapido accesso a un mondo virtuale al contrario
conosciuto, identitario e relazionale.
Se così fosse, ci troveremmo di fronte al paradosso in cui quello che verrebbe istintivamente da definire un non luogo per eccellenza, intangibile e nell’etere, la rete, diventi un luogo identitario e relazionale molto più importante degli spazi fisici, visibili e tangibili che ci circondano.
Verrebbe da chiedersi, una volta posato il telefono sul tavolo, spento il computer, tolto il visore e spenti tutti gli schermi, che aspetto abbiano assunto nel frattempo gli spazi che ci circondano.
Che ruolo avrà, nel lungo periodo, la considerazione di questo “luogo” virtuale nella progettazione degli spazi architettonici? Di quelli che, fino a poco fa, erano considerati gli unici luoghi possibili? Ci aiuterà a mettere in discussione la progettazione degli spazi del nostro quotidiano a favore di “luoghi” fisici ed identitari che soddisfino i nostri bisogni, ormai accelerati, di iperconnesione? L’argomento potrebbe diventare di primaria importanza, perché, come detto da Marc Kushner in un TED talk** del 2014 “gli edifici non riflettono solamente la nostra società, ma la modellano, a partire dagli spazi più piccoli.”
Maria Foti
[*] cit. in https://www.treccani.it enciclopedia, non luogo. di Marc Augé – Enciclopedia Italiana – IX Appendice (2015)
[**] cit in https://www.ted.com/talks/ minuto 14:24