MATTIA GABELLINI
in dialogo con
CAROLINA CORSATO
CAROLINA:
La prima questione che mi viene in mente è che gli adolescenti dell’ultima generazione sono nati con uno smartphone in mano. La società è cambiata da questo punto di vista, quindi sono cambiate le interazioni tra le persone. Per esempio, magari precedentemente ci si basava solamente sull’incontro, ci si faceva un’idea della persona conosciuta e la si reputava esaustiva. Ora c’è un’amplificazione dell’identità, di pensieri e di sfaccettature che prendi in considerazione osservando l’io virtuale degli altri. Anzi, probabilmente ci si sofferma solo su quello, in modo superficiale. Consideriamo le persone come se fossero il loro profilo. Lo stesso accade per un colloquio di lavoro: ci si conosce tramite i profili, quindi tramite l’immagine che comunichiamo. Forse siamo talmente abituati ad osservare immaginari e profili che sappiamo prontamente categorizzare e riconoscere ciò a cui dare valore. Mi chiedo quanto questo, però, possa essere una capacità e quanto, invece, possa essere un’azione superficiale. Penso che le persone siano diventate quasi delle vetrine: in continua esposizione.
MATTIA:
Forse la nostra comunicazione ormai è ragionata sapendo che c’è un pubblico costante. Una volta, magari, quando un adolescente iniziava a strutturare la propria identità, prendeva spunto da un artista, un cantante, una modella, un film, un atleta o ciò che preferiva, assemblava il tutto e mano a mano costruiva la sua identità. Lo stesso forse accade anche oggi, però, penso che ci sia una differenza nel processo interiore: precedentemente ci si manifestava a distanza di tempo, dopo aver metabolizzato le proprie scelte, averle vissute. Ora, probabilmente, c’è una comunicazione istantanea del cambiamento, tramite il proprio profilo. Di conseguenza, si ricevono subito dei feedback, quando magari non si è ancora pronti. Le persone tendono a recepire e notare subito i cambiamenti. Se il feedback è negativo, si rischia di essere prontamente sfiduciati, bloccati o incerti, magari pensando che non sia la strada giusta. Questo meccanismo dell’esposizione e del giudizio istantaneo può generare insicurezza in una fase della vita umana che è già prepotentemente fragile. Mi viene da domandare se i dispositivi aiutino effettivamente l’adolescente a comunicarsi meglio rispetto al passato, o se al contrario lo frenino creando pressione emotiva.
CAROLINA:
Questo pensiero mi ha sempre fatto riflettere su chi fossi realmente, su chi io stia diventando. Questa velocità di cambiamento, di continuo feedback, di passi avanti e indietro non mi fa rendere conto di chi sono. Il mio profilo cambia costantemente, lo si nota visivamente all’istante. Percepisco instabilità, incertezza nel comunicare, poca libertà di linguaggio per paura di uscire da quelli che sono i canoni riconosciuti come giusti nel mondo virtuale. Potrebbe essere che il meccanismo del feedback e dell’omologazione di profili crei negli adolescenti una forte ansia e pressione, quasi come fosse un lavoro costante? Si nota come tanti ragazzi a fine giornata cerchino il modo per staccare, disconnettersi e sentirsi senza filtri, più liberi. Una ricerca terapeutica del tempo libero. Allo stesso modo sento che il disconnettersi sia un modo di vivere la propria dimensione del privato, un tema che nel contemporaneo è molto difficile da discutere. Per esempio, possiamo affermare che esista il privato nel momento in cui siamo costantemente connessi in pubblico?
MATTIA:
Il privato è sicuramente un tema molto delicato. Siamo sempre in dialogo con il nostro pubblico, pensiamo in funzione di esso, ci sentiamo osservati in ogni nostro gesto, persino camminando in strada. Forse la nostra identità ha assunto il ruolo di un lavoro. Studiamo costantemente profili e comunicazione di altri individui, aziende o brand. Siamo diventati abili nel riconoscere gli schemi, ma forse deboli nel metabolizzare i feedback indesiderati, di conseguenza forse tendiamo ad omologare noi stessi rientrando in categorie che troviamo funzionanti con il pubblico. Tuttavia, questa presenza costante di audience, ci toglie il privato, quei momenti con noi stessi, di vuoto, di noia, di spunti, di scoperte e approfondimenti. Se non ce lo toglie, forse ce lo condiziona pesantemente. Quanto siamo realmente condizionati nel nostro agire da ciò che vediamo nei profili degli altri? Potrebbe essere che un io virtuale, nel comunicare la sua identità, stia allo stesso tempo comunicando ciò che pensa di essere, ciò che vorrebbe essere, ciò che gli altri pensano che sia e ciò che vorrebbe che gli altri pensassero che sia?
CAROLINA:
Io penso che siamo fortemente influenzati da ciò che vediamo: vedere il video di un concerto su TikTok che ci sembra bellissimo e provare quasi invidia nel pensare che noi non lo stiamo vivendo, che non siamo all’altezza. Un meccanismo di continua rincorsa e competizione. Ma se fosse solo un’impressione? Se fosse solo bravura nel creare contenuti e far apparire tutto troppo bello? Come nella sfera affettiva. Molto spesso ci si affeziona all’immagine di un profilo, per poi scoprire che è solo una minima parte dell’identità di quella persona. O come quando scambiamo la credibilità con il numero di follower. Se ci stessimo stancando di questi meccanismi? Se stessimo cercando nuovamente più umanità e più privato per la nostra sfera intima e sensoriale?
MATTIA:
Anche io penso che siamo influenzati da ciò che vediamo, soprattutto pensando ad un algoritmo che ci fa diventare quasi narcisisti. Non a caso un nuovo concetto nelle scienze sociali è quello di narcisismo digitale: tramite le nostre azioni virtuali forniamo dati; tramite questi, l’algoritmo restituisce solo tutto ciò che ci piace, all’ennesima potenza; rafforza il nostro pensiero, la nostra convinzione, estremizzandola. Allo stesso tempo, questa piena luce su di noi, oscura tutto il resto, ci chiude e non ci fa notare che esiste dell’altro. Da questo punto di vista, siamo veramente all’interno di un società pornografica? Tuttavia, penso che la via della consapevolezza sia l’ideale per conoscere un fenomeno, studiarlo e poter agire liberamente all’interno di un meccanismo sociale.
CAROLINA:
Un ultimo aspetto che mi piacerebbe affrontare, tornando all’adolescente e alla costruzione della sua identità, è quello della conoscenza del proprio corpo e della sessualità. Se da un lato questa perenne connessione ci crea dei disagi importanti e dei disturbi d’ansia, dall’altro ci permette di condividere delle tematiche che un tempo sarebbe stato molto difficile affrontare. La scoperta del proprio corpo e della propria sessualità è sempre un passaggio critico per un adolescente, soprattutto in una cultura fortemente cristiana in cui ci si sente costantemente colpevoli.
MATTIA:
La condivisione di tematiche ha permesso alle persone di sentirsi meno sole e meno sbagliate nel compiere azioni che per un essere umano possono essere considerate “normali”? Penso alla sessualità, al proprio corpo, ai diritti nel mondo del lavoro e tutta una serie di valori che la nuova generazione ha incentivato ad osservare, creando comunità di valori condivisi. Quindi, come è influenzata la costruzione dell’identità nel mondo virtuale? Quali sono i pro e i contro rispetto all’epoca pre-social network? Qual è il futuro dell’io virtuale e del profilo individuale?